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Sintesi della sentenza del Tribunale Costituzionale del 22 ottobre 2020

AH / 26.10.2020
Wejście do siedziby Trybunału Konstytucyjnego, By Adrian Grycuk - Praca własna, CC BY-SA 3.0 pl, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46587031
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Nella sentenza del 22 ottobre 2020 emessa sul caso K 1/20, il Tribunale Costituzionale ha stabilito che l’art. 4a comma 1 paragrafo 2 della legge del 7 gennaio 1993 sulla pianificazione familiare, la protezione del feto umano e le condizioni per l’ammissibilità di interruzione della gravidanza (in seguito: u.p.r.) è in contrasto con l’art. 38 in riferimento all’art. 30 in riferimento all’art. 31 comma comma 3 della Costituzione della Repubblica Polacca. La disposizione impugnata riguardava l’ammissibilità dell’interruzione della gravidanza, e quindi la morte di un bambino concepito, in una situazione in cui i test prenatali o altri motivi medici indicano un’alta probabilità di una menomazione grave e irreversibile o di una malattia incurabile che minaccia la vita del bambino in utero. La sentenza del Tribunale entrerà in vigore il giorno della sua pubblicazione sul Gazzetta Ufficiale, diventando universalmente vincolante. Pertanto in Polonia sarà vietato l’aborto per ragioni eugenetiche. Il giudizio è inappellabile (Art. 190 comma 1 della Costituzione polacca). La legge polacca non prevede la procedura che consentirebbe la sua contestazione.


Il procedimento del caso è stato avviato da un gruppo di deputati del Sejm (Parlamento) della Repubblica di Polonia, rappresentato dal Dr. Bartłomiej Wróblewski e Piotr Uściński. I ricorrenti contestano la costituzionalità della premessa di cui all’art. 4a comma 1 punto 2 della legge in quanto legalizza le pratiche eugenetiche in relazione al nascituro, rifiutando così di rispettare e proteggere la dignità umana. Inoltre, hanno sollevato una serie di altre circostanze che hanno permesso di stabilire la conformità di tale disposizione con la Costituzione polacca. Innanzitutto, si può sottolineare la dipendenza della tutela giuridica della vita di un bambino concepito dallo stato di salute, che costituiva una discriminazione diretta e la legalizzazione dell’interruzione della gravidanza senza sufficiente giustificazione della necessità di proteggere un altro valore, diritto o libertà costituzionale, nonché utilizzando criteri non definiti da questa legalizzazione, violando in questo modo le garanzie costituzionali sulla vita umana.

Per legge, anche il Sejm della Repubblica di Polonia e il Procuratore generale hanno goduto dello status di partecipanti al procedimento. Nelle posizioni presentate, sia il Sejm che il Procuratore generale hanno sottolineato la contraddizione tra l’ammissibilità dell’aborto eugenetico e la Costituzione polacca. Anche l’Istituto Ordo Iuris amici curiae (“Amico della Corte”) ha presentato due opinioni, una delle quali – riguardante la contraddizione dell’aborto eugenetico con numerosi atti di diritto internazionale – è stata sostenuta da 30 organizzazioni sociali e di esperti, tra cui degli Stati Uniti, della Germania, della Gran Bretagna, della Francia, della Colombia e dell’Ungheria.

La risoluzione del problema costituzionale pendente dinanzi al Tribunale ha richiesto l’analisi di due questioni. In primo luogo, stabilire lo status giuridico di un bambino nella fase prenatale della vita, in particolare la questione della sua soggettività. In secondo luogo, l’ammissibilità e i limiti di interruzione della gravidanza, ad es. come comportarsi in caso di conflitto di valori o di peso del bene.

Il Tribunale, analizzando l’art. 38 della Costituzione polacca (che garantisce ad ogni essere umano la tutela giuridica della vita) in relazione all’art. 30 della Costituzione della Repubblica Polacca (che afferma che la dignità intrinseca e inalienabile degli esseri umani è la fonte dei diritti e delle libertà, e che il suo rispetto e la sua protezione è un dovere delle autorità pubbliche), ha confermato la sua precedente posizione, espressa nella storica sentenza del 28 maggio 1997, rif. atto K 26/96. Secondo la sentenza del 1997, la vita umana è un valore in ogni fase dello sviluppo e, in quanto valore derivato dalle disposizioni costituzionali, dovrebbe essere tutelato dal legislatore. Inoltre, il Tribunale ha affermato che il nascituro, in quanto essere umano avente diritto a una dignità intrinseca e inalienabile, è un soggetto avente diritto alla vita, e l’ordinamento giuridico deve garantire la dovuta tutela a questo bene centrale, senza il quale tale soggettività verrebbe annullata.

Pertanto, la sentenza del 22 ottobre 2020 è una continuazione e uno sviluppo logico della sentenza del 28 maggio 1997 e di altre decisioni del Tribunale relative alla tutela giuridica della vita umana. Si ricorda che nella sentenza del Tribunale costituzionale del 27 gennaio 2004, rif. atto K 14/03, è stato indicato che dalla costituzione deriva una direttiva interpretativa in dubio pro vita humana, secondo il quale “tutti i possibili dubbi sulla protezione della vita umana dovrebbero essere risolti a favore di questa protezione”. Nella stessa sentenza, il Tribunale ha sottolineato che “[n]on si può parlare di protezione della dignità umana se non sono state stabilite basi sufficienti per proteggere la vita”. Nella sentenza del 30 settembre 2008, rif. K 44/07, il Tribunale ha affermato che sarebbe inaccettabile “limitare la protezione legale della vita umana al fine di proteggere beni posti più in basso nella gerarchia costituzionale, come la proprietà e altri diritti di proprietà, la moralità pubblica, la protezione dell’ambiente o anche la salute di altre persone”. Nella recente segnalazione del 18 aprile 2018, rif. atto S 2/18, il Tribunale ha rilevato che i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica Polacca, espressi tra l’altro nella Costituzione della Repubblica Polacca, garantiscono il diritto alla vita dell’embrione e il divieto di trattare qualsiasi embrione come oggetto. Inoltre la “procedura in vitro non deve portare alla distruzione dell’embrione o allo “scongelamento” di più embrioni, alla loro selezione e al “congelamento” di embrioni inutilizzati. ”

Pertanto, il Tribunale ha dovuto considerare in quale misura è consentito limitare la protezione giuridica della vita umana e quali ragioni possono giustificare tale restrizione. Il Tribunale ha ricordato, facendo riferimento alla sentenza del 30 settembre 2008, rif. atto K 44/07, che la metodologia di valutazione sviluppata ai sensi dell’art. 31 comma 3 della Costituzione della Repubblica di Polonia, in merito alle soluzioni che limitano la tutela giuridica della vita, è applicabile con due importanti riserve. In primo luogo, qualsiasi limitazione della protezione giuridica della vita umana deve essere “assolutamente necessaria” e deve essere caratterizzata come ultima ratio. In secondo luogo, data la natura fondamentale del diritto alla vita, non tutti i beni indicati all’art. 31 comma 3 della Costituzione possono giustificare soluzioni ad essi pregiudizievoli. Si esige una simmetria di beni: sacrificato e salvato.

Secondo il Tribunale, la valutazione dell’ammissibilità dell’interruzione della gravidanza, nel caso in cui i test prenatali o altre condizioni mediche indichino un’alta probabilità di menomazione grave e irreversibile di un bambino concepito o di una malattia incurabile che ne minacci la vita, cioè la possibilità di sacrificare il bene del bambino, richiede l’indicazione di un bene analogo di altre persone. In virtù dell’interruzione della gravidanza, questo bene analogo può essere trovato solo nella madre del bambino. Probabilità comunque alta di handicap grave e irreversibile del bambino in utero o di una malattia incurabile che minacci la sua vita può anche essere associata a una minaccia per la vita e la salute della madre, tuttavia, l’art. 4a comma 1 punto 2 della legge (che è oggetto di controllo) non si riferisce a tale situazione, tanto più che la circostanza di tale collisione è stata indicata come premessa a parte per l’ammissibilità di interruzione della gravidanza all’art. 4a comma 1 pt.1 u.p.r. Secondo questa disposizione, l’interruzione della gravidanza è possibile in caso di pericolo per la vita o la salute della madre del bambino. Inoltre, il Tribunale ha affermato che il semplice fatto di un handicap o malattia incurabile di un bambino in fase prenatale, connessa a ragioni di natura eugenetica e con il possibile disagio nella vita di un bambino malato, non può determinare autonomamente l’ammissibilità di interruzione della gravidanza.

Pertanto, il Tribunale ha affermato che la legalizzazione della procedura di interruzione della gravidanza, ove i test prenatali o altri motivi medici indichino un’alta probabilità di una compromissione grave e irreversibile del feto o di una malattia incurabile potenzialmente letale, non trova giustificazione costituzionale.

Il Tribunale ha anche indicato che il legislatore è obbligato ad adeguare lo status giuridico alla decisione del Tribunale. Sebbene la stessa premessa eugenetica sarà eliminata dall’ordinamento giuridico polacco a partire dalla data di pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale, il legislatore dovrebbe definire disposizioni protettive per le famiglie con bambini malati e disabili in modo tale da soddisfare i requisiti costituzionali. In questo contesto, il Tribunale ha sottolineato che il legislatore non può trasferire l’onere di allevare un bambino gravemente e irreversibilmente handicappato o malato terminale solo alla madre, perché sono principalmente le autorità pubbliche e la società nel suo insieme ad avere l’obbligo di prendersi cura delle persone nelle situazioni più difficili.

Il caso è stato esaminato dal Tribunale al completo. Ha presieduto Julia Przyłębska, Presidente della Corte. Il Relatore era il giudice Justyn Piskorski. Due giudici, Leon Kieres e Piotr Pszczłókowski, hanno espresso opinioni dissenzienti.

BP della CEP (Conferenza Episcopale Polacca)

Translation from Polish: M. Olmo / Office for Foreign Communication of the Secretariat of the Polish Bishops’ Conference

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